di Marcella Schmidt di Friedberg, Enrico Squarcina e Stefano Malatesta
Tra le molte considerazioni che si possono fare in questi tempi difficili, per la geografia spicca immediatamente la trasformazione delle nostre relazioni con lo spazio, con il tempo e con i luoghi. Nelle lunghe code che ci consentono di accedere al supermarket più vicino, sentiamo come un luogo, per noi normalmente familiare, si carichi di nuove dimensioni spaziali e temporali; per arrivare alla porta d’ingresso del supermarket non possiamo percorrere, come sempre, l’ovvia - e più breve - linea retta, ma dobbiamo seguire lo snodarsi di un percorso labirintico, non tracciato sul terreno. Nell’attesa, facendo la fila, siamo investiti dalla nuova dimensione dello spazio che ci circonda, un tempo vicino e domestico, ora nuovo e sconosciuto; muta anche la percezione temporale, con tempi lunghi e privi di contatti umani.
Facciamo esperienza di un ritmo più lento. Il nostro senso del luogo, nelle nostre case e nelle poche centinaia di metri consentiti per i nostri spostamenti, si modifica e si carica di nuovi significati e di nuove emozioni. La città e le sue strade deserte appaiono più grandi, non ci sono quasi auto, sono del tutto scomparsi i turisti, vediamo riapparire una natura più pulita e nuove specie animali, come i pesci nei canali di Venezia. Muta il paesaggio sensoriale, gli odori, i rumori, in un grande silenzio, interrotto solo dalla sirena di un’ambulanza. Come poco è stato scritto su una geografia della notte, si potrebbe immaginare ora una nuova geografia degli spazi svuotati dalle loro attività consuete. Zizzagando, con il nostro carrello, nel nuovo spazio sconosciuto di fronte al supermarket, qualcosa non quadra, ci sentiamo “fuori posto”, smarriti di fronte alla necessità di rinegoziare la nostra appartenenza a luoghi non più familiari, siamo disorientati.
Il disorientamento è un tema profondamente geografico che riguarda la nostra relazione con lo spazio, i luoghi, il tempo, il corpo, le emozioni. Il disorientamento riguarda anche la dimensione degli spazi percepiti, rappresentati, comunicati. Se i notiziari ci dicono che i nuovi contagi in Italia diminuiscono, ma che in Lombardia crescono, come non chiederci quale sia la condizione del nostro spazio vissuto? Se non ci rapportiamo con una serie di spazi definiti, con uno dei giochi più consueti per i geografi, quello tra scale, come possiamo non perderci? Perdere l'orientamento, anche solo per un istante, è un'esperienza condivisa dalla maggior parte degli esseri umani e non umani. Tuttavia, la condizione che siamo abituati a pensare come “normale” nel nostro abitare lo spazio, ci spinge quasi automaticamente a fuggire il disorientamento, a considerarlo come una “devianza”, un qualcosa da correggere. Muoversi “disorientati” ci fa paura. Forse, anche perché ci siamo disabituati a pensare all’orientamento come ad un processo in costante evoluzione, come ad un apprendimento, lo abbiamo per così dire “assolutizzato”.
Chi ha lavorato con le mappe mentali, ovvero con le immagini soggettive che ognuno di noi elabora per dare senso al proprio spazio vissuto, ci ha insegnato che queste mappe sono il risultato di un continuo mutare di senso dei confini, dei percorsi e dei luoghi simbolici che fanno parte del nostro quotidiano. Oggi più che mai, il cancello di un condominio può diventare un limite che segna cosa sta dentro e cosa sta fuori, un bar o un’edicola possono assumere il ruolo di potenti oggetti simbolici che danno senso e misura alla nostra esperienza nello spazio. I luoghi si estendono e si dilatano nello spazio a seconda dei nostri vissuti. Quando finalmente l’emergenza sarà passata, ci dovremo confrontare, tra l’altro, con un’esperienza di "ri-orientamento" di “ri-significazione” dei limiti, percorsi e luoghi. Sarà più o meno rapida e complessa a seconda delle nostre attitudini, condizioni di vita o semplicemente dei nostri corpi.
Forse, richiamare nella mente e nel corpo, le emozioni e i ricordi di questo periodo di “dis-orientamento” potrà aiutarci.