Palestinian relationalities – Sanad – against genocidal dismemberment || Father–child dialects in Gaza

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Terza Bell Hooks Lecture tenuta da Abeer Otman, visiting Fellow presso il nostro Dipartimento

Aula 03, Edificio U7 - Piazza dell’Ateneo Nuovo 1, Milano


Segnaliamo la terza Bell Hooks Lecture dell’anno.
La serie di quest’anno, promossa nell'ambito del laboratorio di ricerca Health Conflict and Psychology (He.Co.Psy),  è intitolata GENOCIDIO: vivere e morire all’ombra dello sterminio.

La lezione sarà tenuta da Abeer Otman, visiting Fellow presso il nostro Dipartimento

 

PRESENTAZIONE

Questo contributo propone una critica decoloniale ai quadri egemonici della paternità, ponendo al centro le relazionalità padre–figlio palestinesi nel contesto del genocidio coloniale sionista in corso a Gaza.
La letteratura dominante sui ruoli paterni, plasmata da contesti bianchi, occidentali e della classe media, oscura il modo in cui la violenza coloniale, la spoliazione e la militarizzazione riconfigurano in modo radicale la paternità in Palestina.

Basandosi sugli studi sulla politica dello “spaternamento” e sul concetto di Ashlaa’ — la dispersione e lo smembramento della vita sotto il dominio coloniale d’insediamento —, la ricerca mette in primo piano le narrazioni dei padri e dei figli palestinesi come luoghi di sapere indigeno, resistenza affettiva e sopravvivenza psichica. Così facendo, essa contesta le epistemologie coloniali che cancellano le modalità palestinesi di cura, rifiuto e perseveranza.

Attraverso l’analisi di foto e video condivisi sui social media, la ricerca legge queste testimonianze digitali come archivi urgenti di dolore, amore e resistenza, opponendosi alla loro esclusione come fonti metodologicamente non valide, e rivendicandone invece la rilevanza epistemica ed etica.

Attraverso metodologie femministe, indigene e anticoloniali, l’analisi ricompone le dialettiche padre–figlio non come resti frammentari di vite distrutte, ma come atti radicali di relazionalità che affermano la continuità contro la frammentazione.

Il contributo si conclude sostenendo che la psicologia decoloniale deve prestare attenzione alle epistemologie radicate nella realtà palestinese, che ci insegnano a ripensare cura, parentela e sopravvivenza al di là dei paradigmi liberal-umanisti, riconoscendo in queste pratiche relazionali un’insistenza sulla vita stessa in mezzo al genocidio.

L’incontro è aperto a tutta la comunità accademica.

 

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